lunedì 9 dicembre 2013

Mandela ... il riposo dei giusti

Omaggio a Mandela “Il riposo dei giusti”. 

Dopo la commozione per la morte di Mandela, adesso è il momento di riflettere sul messaggio che questo grande uomo lascia come eredità. 

Il suo messaggio è semplice, quasi banale e al tempo stesso dirompente. E si articola su tre punti.

Uno. In politica non bisogna adorare il dio-potere. Mandela ha saputo non farlo: poteva essere il presidente sudafricano per sempre, invece ha fatto un solo mandato e si è ritirato. E’ diventato enormemente autorevole. E’ diventato un esempio formidabile per il mondo intero.

Due. Per fare politica, per essere un leader, per pensare ad una società migliore per se e per gli altri bisogna essere assolutamente integri sul piano morale. Mandela ha saputo esserlo in modo rigoroso. Non c’è nessuno della sua famiglia che ha ricevuto vantaggi o posti privilegiati nell’amministrazione statale. In Africa è difficile.

Tre. In politica bisogna saper pensare che l’utopia può realizzarsi. Se non si è un po’ visionari si è dei leader dimezzati, grigi, incapaci di promuovere il mutamento. Senza Mandela il Sudafrica non sarebbe potuto passare dal dominio dei bianchi alla democrazia della maggioranza dei neri. Con lui è accaduto.

Oggi mi sembra un giusto omaggio a Mandela pubblicare questa sua foto (Mustafa/Afp), che trovo bellissima, sotto il titolo “Il riposo dei giusti”. Sono certo che l’apprezzerebbe anche Madiba. Potete trovare la foto anche sul sito della Rivista “Africa” che la donerà ai suoi lettori con il prossimo numero.


sabato 23 novembre 2013

Lobby europee e film ...

La scorsa settimana ho visto il film “The Brussels Business” … e incontrato il regista Matthieu Lietaert, presente alla proiezioni romana presso la Libreria Rinascita …




ECCO ALCUNE NOTE PRESE IN DIRETTA …

Il film tratta dei poteri che reggono le redini delle Istituzioni Comunitarie Europee …

Le lobby di cui parla sono anche utili alla democrazia ma bisogna creare delle regole chiare … la definizione di regole, la loro chiarezza e il loro rispetto sono aspetti fondamentali …

LE REGOLE sono alla base del nostro vivere civile …

L’influenza delle lobby, come ogni attività, ha i suoi aspetti positivi e negativi …

Un aspetto negativo è la politica svuotata a favore di elitè economiche (che proteggono se stesse) …





LE PRECISAZIONI DEL REGISTA:

Il film è sulle lobby NON contro le lobby …

Il valore del film/documentario è che GENERA domande … NON da risposte o soluzioni …

UN PERICOLO: anche le ONG (Organizzazioni Non Governative) che indagano sui comportamenti delle lobby sono finanziate dalla Comunità Europea … QUINDI diminuisce il loro senso critico perché il 60-80% del loro budget proviene da questi finanziamenti …

Sul Mercato Comune Europeo: all’inizio era un vento favorevole allo sviluppo … ORA, in tempo di crisi, la gente vuole sapere QUALI INTERESSI va a favorire …



ANCHE IO lavoro in un’azienda … nel settore AEROSPAZIO … che può essere considerata parte delle lobby di cui parla il film …

ANCHE IO ho partecipato, negli anni passati, a incontri e riunioni a Brussels con le varie Commissioni Europee che devono gestire e indirizzare i fondi europei …

PARLO DELLA PARTE PULITA (perché è l’unica che conosco): è naturale è fondamentale un legame tra la politica e le industrie. Le Commissioni Europee emettono periodicamente delle “CALL FOR IDEAS” per stimolare suggerimenti dalle aziende … poi su questi suggerimenti lavorano per emettere le “CALL FOR PROPOSALS” con cui si va nel dettaglio dei progetti da finanziare … TUTTE LE MEDAGLIE hanno un loro rovescio se si va nel campo della CORRUZIONE … e su questo vanno attivati tutti i meccanismi di controllo del caso …



UN’INTERVISTA A Matthieu Lietaert:

Oltremedia ha intervistato il regista del film Matthieu Lietaert.

Lei faceva il lobbista, cosa l’ha portata a denunciare il lavoro delle lobbies di Brussels i giochi di potere che sottostanno al funzionamento dell’Unione Europea?

“Il primo punto importante è che io non sono contro le lobbies per la ragione seguente: le lobbies sono sempre esistite. Anche tornando indietro di 2000 anni, quando c’era Giulio Cesare, esistevano le lobbies, perché dove c’è potere politico l’essere umano crea gruppi che cercano di influenzare tale potere. Il problema è che oggi a Brussels, 30 dopo quella che chiamiamo la globalizzazione, il potere economico di certi attori è diventato globale, mentre le democrazie sono ancora nazionali. Quindi costoro hanno trasformato il potere economico in potere politico. Oggi se uno va a Brussels, dove c’è molto potere politico, non ci sono regole: noi vogliamo sapere chi sono le lobbies, per chi lavorano e con quanti soldi. Il primo passo è la trasparenza”.


Quale potrebbe essere un modo per regolamentare il ruolo delle lobbies? Ad esempio in America, dopo il crack finanziario del 2007, sono state formulate delle leggi che disciplinano in maniera un po’ più stringente il lavoro di questi gruppi di potere. Cosa si può fare in Europa secondo lei?

“Negli Stati Uniti le regole sono arrivate nel 2007, in concomitanza con la crisi economica, dopo un enorme caso di corruzione raccontato anche nel film, a seguito del quale Repubblicani e Democratici hanno deciso di legiferare sulla materia. A Brussels abbiamo regole che sono solo su base volontaria e questo è solo un inizio. Oggi esiste un registro unico in vigore da due anni che è lo stesso per Parlamento e Commissione, ma se viene Apple, Monsanto e Goldman Sachs non devono dire quanti soldi mettono sul tavolo. Noi vogliamo che si faccia qualcosa per migliorare questo registro, però il Parlamento lo sta facendo in un modo poco adatto alle esigenze dei cittadini”.


Che spazio abbiamo per la democrazia e per i suoi istituti illuministici in un periodo storico in cui il potere è de facto detenuto non più dai cittadini attraverso i loro rappresentati, ma dalle élites finanziarie che non sono state votate da nessuno?

“Credo di spazio per la democrazia ce ne sia davvero poco. Tuttavia la democrazia e la storia in generale sono dei processi: non va sempre così (n.d.r. indica in alto con la mano) o così (n.d.r. indica in basso). Nel corso della storia ci sono continui cambiamenti; forse noi con la democrazia legata alla televisione abbiamo trascurato troppo ciò che facevano gli altri e dunque non abbiamo visto subito il potere che la globalizzazione ha conferito ad alcuni attori, che ogni giorno investono milioni per assicurarsi che vengano prese decisioni nel senso che vogliono loro, mentre noi siamo chiamati ogni due o quattro anni a votare. Ma è solo colpa loro o anche nostra che non abbiamo tenuto gli occhi aperti? Il film vuole sottolineare proprio questo. I cittadini devono chiedersi questo, cioè cosa ne sarà del loro domani”.


Lei parla della necessità di consapevolezza da parte dei cittadini di quei meccanismi che di fatto animano il potere, tuttavia come crede di dare autorevolezza ad un modo di vedere le cose che opera al di sotto della superficie rappresentata da quel che raccontano i media tradizionali?

“Intanto io direi di non guardare i media tradizionali in quanto spesso non sono fonte di informazione. Io ho smesso di guardare la tv 15 anni fa. Tuttavia ci sono media più piccoli e interessanti che fanno una parte del lavoro, ma spesso non hanno le risorse per indagare sotto la superficie. Dunque si fanno finanziare dai cittadini oppure operano sottoforma di Ong facendo ricerca nelle università, e proprio questi gruppi possono estrarre informazioni utili per la gente. Tuttavia si tratta di un processo difficile e lungo, questo è indubbio”.
Come già detto lei faceva il lobbista. Il mondo delle lobbies è davvero così sconvolgente che può portare una persona addirittura a finire dalla parte opposta? Come mai questa necessità di raccontare?

“Pensiamo al piccolo mondo di Brusseles, che consta di circa 50.000 persone di cui 15.000 lobbisti privati. Ovviamente tra questi non tutti perseguono gli stessi obiettivi e spesso ci sono lotte e attriti tra le diverse lobbies. Io lavoravo per l’Associazione Europea del commercio equo e dopo un anno ho visto che questa associazione non ha alcun potere, prende soldi dalla Commissione e vive solo per se stessa, in modo autoreferenziale. Anche loro sono complici, il lobbying è per tutti, anche loro sono lì. Abbiamo un’ideologia dominante, Gramsci lo dimostrava bene negli anni ‘30. Ci sono lobbies che lavorano con i politici e questi appoggiano le loro idee. È necessario che siano gruppi che lavorino per una contro egemonia, ma oggi a Brussels non ci sono le forze per farlo. Diciamo da 10 anni che un altro mondo sia possibile. ma non ci sono teorie sufficientemente forti per convincere tutti”.


Una domanda più personale. Spesso chi porta alla luce verità scomode è soggetto a ritorsioni più o meno dirette. Lei ha subito intimidazioni prima, dopo o durante la realizzazione del documentario?

“No, francamente noi siamo stati decisamente liberi di girare il film. Anche il mondo del business ha partecipato. Non è un film di Michael Moore e questo non è un film contro le lobbies, ma sulle lobbies. Ci sono due punti di vista, gli stessi affaristi hanno sottolineato il fatto che si tratti di un film onesto e non di una propaganda a favore delle Ong”.


Allora come mai questo film non è mai stato proiettato in italia?

“Noi siamo piccoli produttori e non abbiamo la forza per andare in tutta Europa. In secondo luogo la tv italiana è poco interessata a mostrare documentari del genere, solo Rai3 ne manda in onda 10 o 15 all’anno. Oltretutto in Italia si è interessati maggiormente ad altre tematiche, soprattutto al lato umano, mentre il nostro è un film politico. Stesso motivo per cui molti Festival non si sono mostrati interessati al nostro lavoro”.

venerdì 26 aprile 2013

The Lady - L'amore per la libertà

Ottimo film ...

La storia vera di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991 e 'orchidea d'acciaio' del movimento per la democrazia in Myanmar. 

Dopo l'assassinio del padre, il generale Aung San, leader della lotta indipendentista birmana, Suu cresce in Inghilterra e sposa il professore universitario Michael Aris. 

Quando nel 1988 il suo popolo insorge contro la giunta militare, Suu torna nel paese natale e inizia il suo lungo scontro diretto contro il potere assoluto dei generali.

...pensiero al vento...
Ed ecco il Trailer del film ...

mercoledì 27 marzo 2013

Ho imparato che si può sempre ricominciare ...

Non ha mai indossato una cravatta e dona circa il 90 per cento del suo stipendio a un programma di espansione delle abitazioni per i poveri, vivendo con 800 dollari al mese assieme alla moglie, Lucía Topolansky.

Ha una casetta nella periferia di Montevideo, collocata su un appezzamento di terra dove crescono i crisantemi in vendita nei mercati locali, senza persone di servizio e con due ufficiali che piantonano la casa parcheggiati in una strada sterrata.

Per arrivare nella sua dimora bisogna attraversare boschetti di alberi di limone, ha un Maggiolino parcheggiato nel garage e una Vespa con cui ha scioccato i parcheggiatori del Parlamento che lo videro arrivare quando fu eletto deputato nel 2004.


Erano gli anni del Broad Front, una coalizione di partiti di sinistra e di socialdemocratici più centristi, e Pepe fu nominato Ministro del bestiame, dell’agricoltura e della pesca.

Nel 2010 la svolta: eletto presidente dell’Uruguay ha intrapreso un cammino di riforme puntando i riflettori sui diritti civili e sui più poveri, con iniziative attente all’ambiente come l’incentivazione di eolico e biomassa.

Il Presidente che rilascia interviste preparando il mate offerto in una zucca, che cita spesso il filosofo Seneca per giustificare la scelta di rinunciare ai simboli del potere e della ricchezza e che racchiude il tutto in una frase: “Non sono povero. Ho un paio di cose, è vero, il minimo, ma voglio avere il tempo da dedicare alle cose che mi motivano”.

Il dibattito più acceso Pepe Mujica lo ha suscitato parlando di legalizzazione della marijuana e del suo monopolio affidato allo Stato, misura atta a frenare la microcriminalità e allo stesso tempo le grandi organizzazioni malavitose che speculano sul consumo della droga.

La battaglia di Pepe è chiara e decisa e passa per una nuova sfida: insegnare ai giovani il consumo della marijuana non attraverso il fumo ma utilizzandola con cibi come torte, ripieni, empanados o tisane o per condire mayonese e salse.

La campagna è stata lanciata in linea con gli inviti del presidente della Corte Suprema di Giustizia, Jorge Ruibal: registrare i consumatori di marijuana ma allo stesso tempo legalizzarla e distribuirla per far uscire i giovani dal mercato della criminalità organizzata.

Ed è proprio questo punto del programma, non gradito agli uruguaiani, a far avanzare la proposta da parte della ong olandese Drugs Peace Institute di conferire a Pepe Mujica il Premio Nobel per la Pace.

La produzione, distribuzione e commercializzazione della marijuana sarebbe un’alternativa al traffico di droga illegale che alimenta un mercato di droghe anche pesanti.

Secondo il presidente dell’Organizzazione, Frans Bronkhorst, “Mujica è il primo al mondo che ha proposto di mettere fine a questa guerra” attraverso un’iniziativa statale che, allo stesso tempo, porterebbe a una diminuzione netta dei crimini commessi dai minori per procurarsi la marijuana.

Ed il passato di Mujica come guerrigliero nei “Tupamaros” contro la dittatura?

“Ho imparato che si può sempre ricominciare”, ama ripetere il Presidente.

...pensiero al vento...
dopo i contrastanti e dibattuti conferimenti del Premio Nobel per la Pace a Obama e all’Europa, PERCHE' dovrebbe essere un problema?

venerdì 22 marzo 2013

Mennea e ... la fatica non è mai sprecata ...

Mi è piaciuto molto questo ricordo ... da un'intervista di meno di anno fa ... LUNGA ma da LEGGERE TUTTA ...


L'intervista sul Domenicale di Repubblica del 3 giugno 2012 per i 60 anni del grande campione

di EMANUELA AUDISIO

ROMA - Pietro Paolo corre sempre contro. Anche a sessant' anni. 
"Quello della Silicon Valley, quello che ha detto che bisogna essere affamati e folli, mi fa ridere. Noi non avevamo niente e volevamo tutto. Eravamo cinque figli, quattro maschi e una femmina. Mio padre Salvatore era sarto, mia madre Vincenzina lo aiutava, a me toccavano i lavori più umili: farei piatti, pulire la cucina, lavare i vetri. Avevo tre anni quando mamma mi mandò a comprare un bottiglione di varechina che mi si aprì nel tragitto, porto ancora i segni sulle mani. Papà veniva da una famiglia di undici figli, due si erano fatte suore, non c' era da mangiare a casa. Quando ho iniziato a correre i calzoncini me li cuciva lui. Oggi non mi entrano più, nemmeno al braccio, ma li tengo ancora. Le prime scarpe da gara le ho prese più grandi, dovevo ancora crescere, sarebbero durate. La tv non la tenevamo, si andava al circolo degli anziani, era su un baldacchino, pagavamo 50 lire per vederla. Ce l'avevo la rabbia dentro, eccome". E Steve Jobs è servito. 


Pietro Paolo Mennea da Barletta è così: regge i confronti. È l'ultimo recordman mondiale bianco dello sprint, l'ultimo oro azzurro olimpico della velocità, e attuale primatista europeo dei 200. Il suo 19"72 non ha i capelli bianchi: dura dal 1979, al nono posto tra le migliori prestazioni di sempre. Da garzone di bottega Pietro si dimentica le consegne. "Papà alla domenica mi mandava in bicicletta a portare i vestiti, anche al questore 

Buttiglione, io appoggiavo la bici e andavo a giocare a pallone, stavo in porta, ma i clienti protestavano e all'una tra i rimproveri ero intercettato. Correvamo in piazza o attorno alla cattedrale, mi feci la fama lì. A quattordici anni divenni collaudatore di macchine veloci. Chi comprava una Porsche o un'Alfa Romeo veniva a suonarmi a casa alle undici di sera. Dormivo nello stesso letto, che si tirava giù, con due fratelli, cercare di non svegliarli era dura. (segue nelle pagine successive) ( segue dalla copertina) L'appuntamento era in via Pier delle Vigneo in viale Giannone, sui 50 metri, un rettilineo leggermente in discesa. Il premio: 500 lire. La macchina partiva a motore spento oppure io avevo diritto ad un vantaggio di 50 metri. Con quei soldi ci compravo il panino per la scuola, ci pagavo il cinema e mi divertivo la domenica. Ma la polizia venne a sapere delle sfide e io scappai a casa". 


Le prime gare provinciali con la maglia dell'Avis. "Le prima corse le ho fatte contro Pallamolla, mio compagno di classe all'istituto tecnico. Era imbattibile, vinceva sempre lui, ma un giorno tra le urla degli altri l'ho lasciato indietro. Ha cambiato nome, ora si chiama Palmi. Io a quei tempi prima di gareggiare mangiavo tre piatti di pasta al forno. La mia crescita sportiva è stata lenta e costante, ma da ragazzo del sud nel ' 72 sono dovuto emigrare. Al centro federale di Formia: 350 giorni di allenamento all'anno. Stavo lì pure a Natale e Pasqua. Da solo. Vent' anni ad acqua minerale, e nemmeno gassata, il professor Vittori non voleva. Il complimento più bello me lo hanno fatto i vecchi custodi, la famiglia Ottaviani, che ha dichiarato: ce n'era solo uno che in tuta entrava al campo di mattina e usciva di sera. Nel '71 ai campionati europei gareggiai per la prima volta contro Borzov, atleta dell'Urss, dio della velocità. Avevo 19 anni, lo guardai negli occhi, e mi chiesi: ma io uno così quando lo batto? La stagione seguente sui 100 gli restai incollato, persi, ma al fotofinish, 10" entrambi. Continuavo ad imparare. E a stare nella realtà. Nel '73 con i primi guadagni mi comprai una Lancia Fulvia Montecarlo da rally, ma non ci dormivo la notte per la paura di aver fatto il passo troppo lungo. E la rivendetti". 

Di Mennea si diceva: magro, storto, contorto. Ma duraturo: 5 Olimpiadi, dal '72 all'88. 

"A Monaco sui 200 arrivai terzo. Andai a festeggiare il bronzo in un ristorante, tornai, mi misi a letto, avevo una singola. La nostra palazzina era davanti a quella di Israele, ma un po' più in alto. Quando mi svegliai il 5 settembre mattina trovai dei tiratori sui tetti e una situazione pazzesca, ma io quella notte non avevo sentito niente. La polizia tedesca, senza divisa, sottovalutò gli allarmi, era mal preparata e poco equipaggiata. E allo sport allora interessava solo spostare i terroristi fuori dal villaggio, per poter continuare i Giochi: ammazzatevi, ma lasciateci continuare le gare. Ho scritto a Rogge, presidente del Cio, perché a Londra, a 40 anni dalla strage, si ricordino gli atleti morti con un minuto di silenzio. Anche se il Cio ha già detto che non intende farlo". 

Messico e nuvole nel ' 79. E record a Città del Messico. Mennea aveva 27 anni, nei 200 metri era in corsia 4, la pista era consumata. Alle Universiadi nei giorni precedenti era comparsa la scritta Petro Menea, il suo nome storpiato, senza i e n, errata anche la nazionalità, francese. "Ero come un viaggiatore che stava per partire. Ogni corsa è un viaggio. Mi chiedevo: ho preso tutto? Ero alla ricerca di un tempo, troppe volte perduto. Pensai fosse la volta buona. Remai un po' in curva, controllai la sbandata all'entrata del rettilineo, non smisi di spingere, stavo andandoa trentasei chilometri all'ora con le mie gambe. Corsi i primi cento in 10' ' 34 e i secondi in 9' ' 38. Arrivai con sei metri di vantaggio. Il pubblico urlò, ma io non ero sicuro. Non c' erano tabelloni elettrici, allora. Mi girai. l'unico cronometro era alla partenza. Guardai le cifre, forse avevano sbagliato anno? Eravamo nel ' 79 non nel ' 72, mi vennero tutti addosso, ci fu una grande confusione, non riuscivo più a respirare". L'Italia scoprì un altro Coppi. Veniva dal meridione, faticava come una bestia, ma in pista era resistente. Quel 19"72 aveva dentro scienzae dedizione. "Nessuno mi dava credito, quel primato sembrava destinato a cadere in fretta. È durato 17 anni. Dal '79 al ' 96. Al 19"66 di Michael Johnson. Ci credo nei numeri: corsi sulla stessa pista dove Tommie Smith nel '68 aveva stabilito il mondiale con 19''83. Undici stagioni prima. E migliorai quel tempo di 11 centesimi. Ero in forma, affrontavo tutti, battevo gli americani, che fisicamente erano il doppio di me. A Viareggio sui 200 Williams mi passò: avevo le sue ginocchia all'altezza del mio mento. In California incontrai Muhammad Ali che per me è sempre Cassius Clay. Mi presentarono come l'uomo più veloce del mondo. Lui mi squadrò sorpreso: "Ma tu sei bianco". Sì, ma sono nero dentro. Sono stato l'ultimo a vincere una gara di velocità, a parte il greco Kenteris, poi rivelatosi drogato. Cos'è siamo diventati tutti brocchi? No, ma non c' è più cultura sportiva, c' è il mito del successo, non quello di farsi strada nella vita. Perché meravigliarsi delle scommesse? Se non si studia, se non si hanno interessi, non c' è crescita della persona. Uno sportivo non deve essere Einstein, ma un minimo ci devi provarea darti degli strumentie non soloa gonfiare il portafoglio". 

A Mosca nell'80 l'oro dei 200 metri. La sua faccia scavata, la rimonta quando tutto sembrava perduto, lo spasmo finale. Un made in Italy che si affermava anche nello sport. "Ma nei cento non andai oltre la semifinale, dove mi qualificai precedendo di un centesimo Crawford che dalla rabbia buttò giù una porta. Anche io ero giù e mi isolai. Venne a trovarmi Borzov, ormai ex, non avevo tanta voglia di fare colazione con l'avversario di una vita. Mi regalò l'orsetto Misha e non la fece lunga: ti ho visto spento, senza scintilla, guardati dentro e torna a mordere la pista. In finale mi confinarono in ottava corsia, non ero contento, non potevo controllare gli avversari. All'uscita della curva ero penultimo, Wells indemoniato era tre metri avanti. Penso: non avrò altre occasioni. Dodici anni di lavoro e di dolore per niente. Allora riparto, risento tutto, rientro in gara, recupero, vinco, alzo le braccia e il ditino. Per quell'oro guadagnai un premio da otto milioni di lire e mi comprai sei poltrone Frau. Al ritorno il presidente Pertini mi abbracciò con molto affetto. Tra noi c' era un buon rapporto. Mi invitò a colazione al Quirinale, anche il giorno prima del suo addio. Era triste, mi commosse. Gli domandai cosa avrebbe fatto. "Tornerò a casa". Chiesi: sua moglie l'aspetta? "Lo spero", rispose".

Le fatiche di Mennea sono state codificate. "Convegno in Germania sulla velocità. Metà anni Ottanta. Parlo del mio training: 25 volte i 60 metri, 10 volte i 150 metri. Gli altri tecnici sbigottiti: ma se i nostri atleti al massimo fanno 6 volte i 150. E lì che ho capito che il doping aveva vinto: come facevano ad allenarsi tre volte meno di me e ad ottenere risultati? Quando Vittori mostrava nei convegni il programma di lavoro gli chiedevano: scusi, chi ha fatto queste cose è poi morto? A Formia ci costruivamo da soli gli attrezzi, anche in quello siamo stati artigiani. E sono tornato a sfidare i motori, come da ragazzo. Dall'auto siamo passati alla Vespa. Solo che Vittori a volte non riusciva a cambiare le marce in fretta, allora vincevo io. Avrei potuto ribattere il mio record dopo Mosca, valevo 19"60, me lo confermò lui, cronometro alla mano, ma credeva che ne sarei stato troppo appagato". 

Il dottor Mennea ha cinque lauree: Isef, scienze motorie, giurisprudenza, scienze politiche, lettere. È avvocato, commercialista, revisore contabile, agente di calciatori, giornalista pubblicista, insegnante universitario, è stato deputato al parlamento europeo ('99-2004). Ha cercato altra adrenalina.

È appena uscita una sua biografia per Limina firmata con Daniele Menarini, La corsa non finisce mai, lui stesso sta scrivendo un libro su Bolt. "Anche per me ad un certo punto è stato difficile guardarsi allo specchio e decidere: chi vuoi essere? Forse potevo vivere di rendita, invece mi sono rimesso ai blocchi per altre partenze. Non ci sarà più un record come il mio, non in Italia, e non perché non possano nascere campioni. Ma oggi c' è una società e una morale diversa, che rifiuta tutto quello che io ho rappresentato. Io allenavo la fatica con l'allenamento". 

La moglie Manuela Olivieri l'ha conosciuta ad una festa nel ' 92. Lei non sapeva chi fosse Mennea. E al primo appuntamento pensò che il campione si sarebbe presentato con un macchinone. "Arrivai con una Panda Young 750, bianca con i bordini azzurri. Quando corriamo, è più in forma di me, e mi lascia indietro. Ogni tanto c' è qualcuno nel parco che mi chiede: e tu che fai? Vorrei avere abbastanza fiato per rispondere: ho già fatto. 5482 giorni di allenamento, 528 gare, un oro e due bronzi olimpici, più il resto che è tanto. A 60 anni non ho rimpianti Rifarei tutto, anzi di più. E mi allenerei otto ore al giorno. La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni".


(21 marzo 2013)

...pensiero al vento...
è proprio vero ... "La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni" ...


sabato 16 marzo 2013

Se ...

Se la nota dicesse: non è una nota che fa la musica …
non ci sarebbero le sinfonie.
Se la parola dicesse: non è una parola che può fare una pagina …
non ci sarebbero i libri.
Se la pietra dicesse: non è una pietra che può alzare un muro …
non ci sarebbero le case.
Se la goccia d'acqua dicesse: non è una goccia d'acqua che può fare il fiume …
non ci sarebbe l'oceano.
Se il chicco di grano dicesse: non è un chicco di grano che può seminare il campo …
non ci sarebbe il pane.
Se l'uomo dicesse: non è un gesto d'amore che può salvare l'umanità …
non ci sarebbero mai né giustizia né pace, né dignità né felicità nella terra degli uomini.
Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota,
come il libro ha bisogno di ogni parola,
come la casa ha bisogno di ogni pietra,
come l'oceano ha bisogno di ogni goccia d'acqua,
come la messe ha bisogno di ogni chicco,
l'umanità intera ha bisogno di te,
qui dove sei,
unico,
e perciò insostituibile.


...pensiero al vento...
pubblico per non perderla ...

mercoledì 6 marzo 2013

La demonizzazione di Chávez ...

di Eduardo Galeano, tratto da Latinoamerica n. 121
 
Hugo Chávez è un demonio. Perché? 

Perché ha alfabetizzato due milioni di venezuelani che non sapevano né leggere né scrivere pur vivendo in un paese che possiede la ricchezza naturale più importante del mondo che è il petrolio. 

Io ho vissuto in quel paese per qualche anno e so molto bene come era. 


Lo chiamavano “Venezuela Saudita” a causa del petrolio. C’erano due milioni di bambini che non potevano andare a scuola perchè non avevano i documenti. 

Poi è arrivato un governo, questo governo diabolico, demoniaco, che fa cose elementari come dire: “I bambini devono essere ammessi a scuola con o senza documenti”. 

Era la fine del mondo: ecco una prova del fatto che Chávez è un cattivo, un cattivissimo. 

Visto che possiede questa ricchezza, e che grazie al fatto che a causa della guerra in Iraq il petrolio è carissimo, lui vuole approfittarne a fini di solidarietà. 

Vuole aiutare i paesi sudamericani, specialmente Cuba: Cuba gli manda i medici, lui paga con il petrolio. Ma anche quei medici sono stati una fonte di scandalo. 

Dicono che i medici venezuelani erano furiosi per la presenza di quegli intrusi che lavoravano nei quartieri poveri. 

Al tempo in cui io vivevo là come corrispondente di Prensa Latina, non ho mai visto un medico. 

Adesso invece i medici ci sono. 

La presenza dei medici cubani è un’altra prova del fatto che Chávez sta sulla Terra di passaggio, perché appartiene all’inferno. 

Per questo, quando si leggono le notizie bisogna tradurre tutto. 

Il demonismo ha quest’origine: per giustificare la macchina diabolica della morte.

...pensiero al vento...

5 marzo 2013 ... muore Hugo Chavez ... un grande Uomo !!

... ECCO Un ritratto sintetico ma significativo di Chavez da parte di Matteo Pucciarelli: 

Aver ridato la dignità al proprio popolo. 
Stando dalla parte degli ultimi con orgoglio. 
Quanta tristezza.